Intervista a Zoey Deutch: Nessuno può fermarmi (2024)

È figlia di due star, recita da quando era bambina e presto la vedremo accanto a Johnny Depp. A 22 anni Zoey Deutch è considerata il prossimo talento di Hollywood. Ed è il simbolo della nuova generazione di attrici-attiviste

Quando entro nella suite all’ultimo piano del lussuoso Sunset Tower Hotel, poco prima delle 9 di mattina, la tensione è palpabile. Si sta allestendo il servizio fotografico che vedete in queste pagine con la stella nascente Zoey Deutch, premiata con il Face of the Future, il riconoscimento assegnato ogni anno dalla casa di moda Max Mara.
I truccatori, i parrucchieri, gli stylist sono concentrati sugli ultimi ritocchi. Preparano completi, discutono di colori per il viso, di abbinamenti, di pettinature e di lei, la star. «È un po’ tesa», mormora un’addetta stampa, forse per avvisarmi di non far innervosire troppo Deutch, che, a 22 anni, è sicuramente la più giovane di tutta la squadra di stamattina, ma è altrettanto sicuramente al comando.

Il fatto è che Zoey, con cinque film da protagonista usciti nel giro dell’ultimo anno (tra cui le commedie Nonno scatenato con Robert De Niro e Proprio lui al fianco di James Franco), è una ragazza intelligente, impegnata politicamente, femminista dichiarata. In più conosce Hollywood, dato che è figlia d’arte: la madre è l’attrice Lea Thompson, il padre il regista Howard Deutch. Sa di essere sul punto di esplodere come superstar, ma sa anche come funziona il tritacarne dell’industria cinematografica, in subbuglio in questi giorni dopo le rivelazioni sulle ripetute molestie sessuali da parte del produttore Harvey Weinstein.

Zoey, che nei mesi scorsi ha girato con Johnny Depp il film Richard Says Goodbye (lo vedremo nel 2018), mi fa capire subito che lei non sta al gioco delle solite domande sui genitori famosi. A me la cosa non dispiace affatto. Glielo dico e lei, in un battibaleno, rilassa le spalle, mi sorride, e parla allegramente per tutto il resto dell’intervista. E la troupe si rilassa con lei. «Guardi», mi avvisa prima ancora che abbia finito di formulare la prima domanda sul fatto che recentemente si è autodefinita “un’ex bambina nevrotica”, «siamo tutti nevrotici, a questo mondo. Non lo considero nemmeno un difetto, anzi. Io sono semplicemente una ragazza molto attenta ai dettagli, e ho una pronunciata paura dei germi. Tutto qua».

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Va bene. Il premio di Max Mara Face of the Future (“Volto del futuro”), che viene assegnato ogni anno nell’ambito della manifestazione Women in Film, ha segnato il momento di svolta nella carriera di tante attrici. Penso a Hailee Steinfeld, Chloë Grace Moretz o Emily Blunt. Per lei che cosa significa?
«È un grande onore essere inclusa tra le artiste che hanno già ricevuto questo riconoscimento. Forse è un po’ presto per me, nella mia carriera, per ricevere questo premio, ma lo considero un bel segnale d’incoraggiamento».

Trova sia presto? Eppure lei recita da quando era adolescente, dai tempi di Zach e Cody sul ponte di comando per la Disney.
«Oddio, ha ragione. Non mi sembra così, ma in effetti è vero, faccio questo lavoro da tanto tempo».

Non si sente un’attrice adulta? Ormai il passaggio ufficiale da star bambina al mondo dei grandi lo ha compiuto.
«Sì, ma non c’è stato un momento particolare, un film specifico, a segnalare il giro di boa. Ancora oggi mi trovo a interpretare ruoli che spaziano tra l’adolescenza e l’età matura. Per esempio, in Rebel in the Rye (presentato al Sundance Film Festival e ancora non distribuito in Italia, ndr) sulla vita dello scrittore J.D. Salinger, interpreto una ragazza di 15 anni, ma adesso sto girando un film in cui sono una donna di 25».

Lei è cresciuta nel mondo dello spettacolo. Ha sempre saputo che avrebbe lavorato nell’industria di Hollywood?
«È una cosa che fa parte di me e del mio modo di essere. Non saprei nemmeno dire quando ho capito che avrei intrapreso questa strada. E trovo anche un po’ curioso che tutti siano così fissati nel sottolineare che mia madre e mio padre sono persone di successo nello stesso campo in cui lavoro io. E quindi? Che cosa vuol dire? Questo succede in tutto il mondo, che le persone decidano di seguire le orme dei genitori. È normale. S’impara un mestiere in famiglia, e lo si fa. Ma nel cinema c’è questa ossessione nel mettere in risalto che qualcuno è “figlio di”».

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Perché la infastidisce tanto?
«Perché è una cosa vista in negativo, come se uno non si impegnasse, o non meritasse il successo. Non è giusto. Mia madre mi dice in continuazione di essere umile, gentile e di lavorare duro. Le sento solo ripetere: “Work hard, work hard”, lavora duro».

Chi è nato e cresciuto a Los Angeles, come lei, sa bene che qui tutto parla di cinema.
«È vero. È difficile spiegare al resto del mondo quella specie di osmosi tra mondo reale e mondo dello spettacolo che c’è qui. Non è tangibile, ma è sempre presente. Spesso si parla tanto male di Los Angeles, si dice che è superficiale, senza cultura, e invece io la trovo entusiasmante. È piena di gente proveniente da ogni parte del mondo che viene qui per partecipare a grandi progetti, per realizzare storie che ispirino e commuovano il pubblico. L.A. è bellissima, magica. È un luogo in cui puoi davvero inseguire i tuoi sogni. Anzi, l’inseguimento dei sogni è l’inconscio collettivo di Los Angeles».

Lei parla apertamente delle sue preferenze politiche, ha tifato per Hillary Clinton alle ultime elezioni presidenziali ed è molto impegnata nel sostenere campagne a favore della salute delle donne. Recentemente ha dichiarato che stiamo vivendo in un tempo di «meschinità senza precedenti». A che cosa si riferiva?
«Al fatto che il dibattito politico di oggi negli Stati Uniti ormai è incentrato sui sentimenti, piuttosto che sulla ragione. Tutti litigano, urlano, si accapigliano in funzione delle emozioni, senza prestare attenzione alla logica, ai fatti. È come se l’intera nazione fosse nel mezzo di un brutto divorzio, in cui le posizioni sono estremizzate e non c’è posto per il compromesso. Mi fa molto male pensare che il resto del mondo ci veda in questo modo. Io poi, personalmente, non voglio essere associata a Donald Trump, l’uomo che governa questo Paese».

Secondo lei gli Stati Uniti hanno perso un’occasione non eleggendo la prima donna presidente?
«Sì, ma penso che, nonostante la sconfitta di Hillary, l’enormità di aver avuto una donna come candidato non sia stata ancora compresa appieno, e forse non verrà capita per anni. Prima delle scorse elezioni, milioni di bambine in tutto il mondo non sapevano nemmeno che fosse possibile, per loro, aspirare a tanto. Adesso sanno che si può, lo hanno visto. Considerando poi com’è andata, con tutto quello che è successo durante la campagna elettorale e con le notizie che sono state rivelate, ritengo che a questo punto nessuno possa più negare che la discriminazione di genere esiste ed è ancora forte. È semplicemente impossibile negarlo».

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Allo stesso tempo, nel mondo dello spettacolo le cose per le donne si stanno muovendo anche in direzioni positive. Prendiamo il successo del film Wonder Woman con Gal Gadot e Robin Wright.
«Sì, ha elettrizzato anche me. Spero ci siano presto altri film del genere, con donne protagoniste, donne forti, eroiche. E spero anche che si comincino a vedere sempre più Wonder Woman dietro alla macchina da presa: registe, produttrici, sceneggiatrici. Perché il fatto è che non puoi essere quello che non vedi. Una mia amica, dopo aver visto Wonder Woman, mi ha detto: “Adesso ho capito perché gli uomini sono così sicuri di loro stessi, con tutte le avventure piene di supereroi maschi che vedono da piccoli”. Ha ragione. Avessi avuto io, da bambina, quel film, adesso camminerei per la strada urlando che nessuno può fermarmi. Dopo averlo visto, mi sono sentita potente, invincibile».

Parlando di donne dietro la macchina da presa, lei ha girato un film tutto al femminile di recente, con sua madre Lea Thompson come regista.
«Non soltanto con mia madre, ma anche con mia sorella, Madelyn, sceneggiatrice del film e autrice della colonna sonora. La mamma è appunto la regista e io sono la protagonista e la produttrice. Si chiama The Year of Spectacular Men (“L’anno degli uomini spettacolari”). È molto bello».

Chi sono le sue attrici preferite, i suoi punti di riferimento?
«Ammiro molto Julianne Moore e Sandra Bullock».

Le piacciono come professioniste o anche dal punto di vista personale?
«Sono brillanti, intelligenti. Le ammiro molto come persone, oltre che come artiste. Però devo ammettere che anche questa sua domanda mi mette a disagio».

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Perché?
«M’infastidisce il fatto che per gli attori maschi il comportamento nella vita personale non conti mai molto, mentre le attrici vengono invariabilmente scrutinate con severità. Dobbiamo essere perfette anche nel privato, e se non lo siamo, questo ci toglie credibilità dal punto di vista professionale, diventiamo meno appetibili al botteghino. Agli uomini non chiedono con chi siano fidanzati o chi abbia disegnato l’abito che indossano; alle donne, chiedono praticamente soltanto quello».

Lei è molto schietta.
«Ho imparato. Spesso uso i fondamenti dell’improvvisazione. Preferisco dire quello che penso. Spesso rispondo dicendo: “Sì, e poi”, invece di “Sì, ma”. È un modo di cambiare in positivo qualcosa che magari infastidisce, senza chiudersi a riccio».

Se potesse scegliere un qualunque uomo nella storia, con il quale uscire per una sera, chi sceglierebbe?
«Mi viene da dire Vincent Van Gogh. Era un tipo stabile e tranquillo, no? O Salvador Dalí. Oddio, tutti quelli che mi vengono in mente sono artisti pazzi. Ecco, ci sono: Leonardo da Vinci! Con lui, uscirei di sicuro. Recentemente sono stata a una mostra a Venezia, in cui ho visto i favolosi schizzi di Leonardo, e sono rimasta folgorata, anche perché sottovalutavo le sue capacità d’inventore. Però sia chiaro: con Van Gogh e Dalì al massimo prenderei un drink di martedì sera, e li vedrei uno dopo l’altro. Farei in modo si incontrassero all’entrata del locale, per evitare si facciano illusioni. Con Leonardo, magari potrei andare a cena un venerdì sera. E poi già che ci siamo, vorrei uscire anche con Cleopatra: mi pare di capire che fosse una donna molto cool».

Photo Credits: Getty Images e Instagram (@zoeydeutch)

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